Di lingue, migrazioni, tricksters e macchine sognanti: intervista a Pina Piccolo degli studenti liceali del progetto Erasmus di Patti (ME)

Di lingue, migrazioni, tricksters e macchine sognanti: intervista a Pina Piccolo degli studenti liceali del progetto Erasmus di Patti (ME)

 

  1. DI che cosa si occupa l’associazione?

La Macchina Sognante (LMS) non è un’associazione vera e propria. Siamo un gruppo di scrittori, traduttori e studiosi (composto attualmente da Bartolomeo Bellanova, Lucia Cupertino, Sana Darghmouni, Pina Piccolo, Maria Rossi, Walter Valeri) che si sono uniti per dare vita a un progetto, di natura letterario e sociale, che comprende la rivista di letteratura e cultura online, www.lamacchinasognante.com come pure altre iniziative di carattere letterario e sociale in cui spiccano temi associati a migrazione, transnazionalità antirazzismo, sostenibilità. Alcuni di noi hanno esperienza personale in merito a migrazione (io , Pina Piccolo, faccio parte di tre generazioni che hanno migrato tra Italia, America del Nord e America del Sud, con un numero infinito di andate e ritorni; Sana Darghmouni che insegna lingua e letteratura araba all’università di Bologna proviene dal Marocco; Lucia Cupertino, giovane poeta e antropologa pugliese che si occupa da anni di popolazioni indigene dell’America Latina e di agricoltura sostenibile vive in Colombia, scrive anche in spagnolo ed è conosciuta come poeta più nel contesto ispanofono che italiano; Maria Rossi, napoletana vive e insegna a Rimini, è specializzata in letteratura latino americana, fa parte della casa editrice Arcoiris e traduce sempre nell’ambito di letterature ispanofone; Bartolomeo Bellanova, poeta che pur non avendo migrato di persona assiste alla migrazione nazionale e internazionale di capitali dall’interno del suo lavoro in una banca, e riesce a sezionarne le malefatte, i condizionamenti, le manovre e manipolazioni; Walter Valeri poeta romagnolo e uomo di teatro (è stato per 20 anni l’addetto stampa ed archivista di Dario Fo e Franca Rame) insegna italiano e voce al conservatorio musicale di Boston dove vive da oltre 20 anni. Un gruppo alquanto vario, come vedete, che comprende nord e sud Italia, vari continenti, va in età dai 30 anni ai 67, con una grande gamma di esperienze e di impegno culturale e sociale.

Come Macchina Sognante abbiamo pubblicato un‘antologia di scritture sulla migrazione che si intitola “Muovimentii – segnali da un mondo viandante” (Terra d’ulivi, 2016) che abbiamo presentato spesso in contesti scolastici in varie parti di Italia, per stimolare la discussione su migrazione, xenofobia, razzismo. I proventi vanno ad Amal, un’associazione che si occupa di istruzione in un campo profughi in Turchia alla frontiera con la Siria. In anni precedenti alcuni di noi hanno curato le due antologie poetiche “Sotto il cielo di Lampedusa- Annegati da respingimento”, e Sotto il cielo di Lampedusa II – Nessun uomo è un’isola, del 2014 e 2015, entrambe edite dalla casa editrice Rayuela. Siamo entrati in contatto con Patti inizialmente proprio attraverso queste due antologie, tramite il contributo della professoressa Anna Milici che ha inviato una poesia entrata nella prima antologia. Poi nel corso degli anni i contatti si sono rafforzati, siamo stati invitati a intervenire alla settimana del libro organizzato da varie associazioni di Patti, poi siamo entrati in collegamento Skype l’anno scorso, sempre durante la settimana del libro, abbiamo incluso poesie anche di allievi dei Licei di Patti in Muovimenti. Samo molto felici di poter proseguire la collaborazione con voi., anche quest’anno tramite il progetto Erasmus. Colgo l’occasione anche per scusarmi per l’impossibilità del collegamento diretto con Skype qualche giorno fa , a volte la tecnologia gioca brutti scherzi, ma ci stiamo rifacendo con questa intervista, anche se purtroppo l’aspetto di dialogo si perde.

 

2. Quando è nata e perché ha sentito l’esigenza di portare avanti questa iniziativa?

Il progetto www.lamacchinasognante.com nasce da un intreccio di esperienze ed esigenze. Le persone che fanno parte della redazione e che ho menzionate sopra hanno da sempre scritto e in un qualche modo portato avanti militanza in campo culturale e sociale, ognuna di noi con le proprie modalità, in contesti diversi (pensate un po’ alla gamma di età dai 30 ai 67 anni, quindi alcuni di noi erano già attivi negli anni 60-70 del Novecento, altri in anni più recenti, alcuni più legati al mondo accademico, altri meno, alcuni in Italia, altri in America latina o in America del nord, alcuni di noi con esperienza nell’organizzare festival ed eventi, altri più lanciati nel mondo dei social media e dell’editoria online.   A livello di iniziativa editoriale nasciamo come ‘orfani’ di un progetto editoriale precedente, la rivista di letteratura Sagarana, diretta dallo scrittore di origine brasiliana Julio Monteiro Martins, in esistenza dal 2000 al 2014. Io in particolare sono stata aiuto-redattrice dal 2008 al 2014 e molti degli altri del gruppo hanno contribuito saggi o poesie alla rivista. Quando Julio è morto a fine 2014 abbiamo sentito l’esigenza di continuare a portare avanti alcuni degli obiettivi di quella rivista, cioè dare spazio a scritture che andassero in senso contrario al pensiero unico ( fenomeno molto radicato in Italia e a livello mondiale negli ultimi 25 anni ), scritture che in genere non trovano spazio nei media mainstream ma che sono più che mai necessarie nel contesto di grande crisi che stiamo attraversando, crisi economica, politica, ambientale, sociale. Ci riconosciamo nell’affermazione di Julio Monteiro Martins secondo cui la peculiarità della letteratura è quella di consentire attraverso la scrittura il dialogo e il confronto, in sospeso, su argomenti inerenti alla condizione umana tra scrittori che vivono a due-trecento anni di distanza. Infatti il nome “la macchina sognante” proviene da un’opera postuma di Julio in cui, nel corso di un’intervista riferendosi alla letteratura scrive “nell’economia interna “esplosiva” di un capolavoro c’è uno spostamento di senso e un potenziamento poetico di ogni parola, che s’illumina diversamente dal solito all’interno della macchina sognante che è una grande opera letteraria”. Da qui, la nostra scelta di “macchina sognante” per dare un nome al nostro progetto. In un tempo in cui mancano le bussole stiamo cercando di attingere dalle esperienze di resistenza e di alternativa che riusciamo a individuare sia grazie ai contatti internazionali e le alleanze sviluppate con altre riviste e media. Tra le iniziative con cui siamo in partnership le testate online Frontiere News, Voci Globali, Carmilla online, L’america latina, poi Manifest – un’associazione composta da un gruppo di giovani di Lamezia Terme che porta avanti un progetto di rinnovamento culturale in un territorio difficile utilizzando anche il teatro. Quindi, grazie sia alle esperienze personali accumulate nel corso delle nostre vite “vaganti” sia ai contatti e alle collaborazioni nazionali e internazionali ci impegniamo a rappresentare forme di impegno culturale foriere di quello che è il mondo che sta nascendo e che ci vede cittadini non di nazioni ristrette dentro i “muri” dei propri confini artificiali bensì cittadini del mondo.

 

3. Che tipo di attività svolge?

Oltre alla rivista online e alle iniziative editoriali di cui ho già parlato organizziamo eventi, tavole rotonde, festival per affrontare questioni scottanti. Ad esempio il 12 dicembre, insieme ad Amnesty International, ospiteremo la giornalista e scrittrice italo-siriana Asmae Dachan che presenta il suo ultimo romanzo “Il silenzio del mare” e parlerà della situazione di quel martoriato paese. Abbiamo seguito il caso di Giulio Regeni pubblicando interventi sulla rivista e collaborando con Amnesty International, anche nelle campagne in Twitter. Abbiamo lanciato petizioni su casi eclatanti di razzismo e xenofobia come l’uccisione di Emmanuel Chidi Nnamdi a Fermo l’anno scorso. A fine ottobre abbiamo lanciato insieme ad associazioni africani e di figli di immigrati due eventi per l’Ottobre africano, cercando di animare il dibattito su identità, cittadinanza, anti-razzismo, migrazione. Abbiamo collaborato con festival internazionali di Poesia e arti visive quali “L’Orecchio di Dioniso” a Forlì e a Cesenatico. Attualmente stiamo per lanciare la versione inglese de la macchina sognante www.thedreamingmachine.com che prenderà il via tra qualche settimana il primo dicembre e che cerca, utilizzando una lingua con maggiore diffusione rispetto all’italiano, di potenziare il dialogo e gli scambi a livello internazionale.

 

4. Chi si rivolge all’associazione? Solo italiani e/o cittadini stranieri?

Il nostro progetto come dicevo, si vede foriero di un modo di stare al mondo che già esiste e che vede le persone come “cittadini del mondo” (e se proprio vogliamo allargarci della galassia e dell’universo).

 

5.Quali risultati concreti ottiene?

I risultati concreti che ottiene vanno forse misurati con il metro della diffusione delle idee e delle scritture, la promozione di dibattiti, la formazione di persone interessate a un modo innovativo di fare cultura che sfrutti i benefici intrinsechi alle tecnologie della rete e dei social media e cerchi di scostarsi dalla catena di trasmissione del sapere tradizionale. Il sistema tradizionale di fare cultura qui in Italia è in genere legata a istituzioni quali le università, le amministrazioni comunali, i partiti, i grandi media e le grandi case editrici, i premi, i fondi europei, etc. Noi cerchiamo di focalizzarci su iniziative dal basso, ci muoviamo su base di volontariato, non abbiamo soldi (il che in certi modi e per certi versi ci limita ma in altri ci libera) e in un certo senso abbiamo scelto di operare in quegli spazi che il sistema culturale tradizionale in crisi non riesce ad accaparrarsi e a riempire. Cerchiamo di promuovere il dibattito su temi scottanti e dirompenti, di cui la cultura ufficiale non si vuole occupare o a cui risponde con il pensiero unico o in modalità che mantengono lo status quo, nonostante ci troviamo in un momento di grande crisi, in cui la sopravvivenza del pianeta è messa in discussione. Facciamo cultura negli interstizi e forse i risultati concreti di questa operazione sarà più facile misurarli in futuro.

 

6. Può raccontare un episodio che ha lasciato un segno nella sua esperienza lavorativa?

La mia esperienza lavorativa è stata alquanto varia e va da cameriera, cuoca a docente universitaria a traduttrice e interprete, insegnante di lingua e perfino, in un momento di bisogno economico, addetta al monitoraggio della composizione dell’acqua negli idranti di San Francisco- forse la mansione per cui ero la meno qualificata in assoluto.

L’esperienza lavorativa che forse mi ha segnato e divertito di più è stata quella di traduttrice/interprete, e un quadro a volte tragicomico lo potete trovare nel racconto di una mia esperienza di interprete in “manicomio” http://www.eksetra.net/laboratorio/laboratorio-2008/racconti/la-cognata-pina-piccolo/ .

Nel parlare della mia esperienza di traduttrice però bisogna anche non po’ correggere il tiro rispetto alle esperienze tradizionali, nel senso che per il mio vissuto non ho una lingua madre vera e propria, nel senso che nei miei primi anni di vita sentivo in casa il calabrese dei mei genitori e l’inglese dei miei fratelli, esprimendomi con i primi in calabrese e in inglese con il resto del mondo; da più grandicella, a 6 anni, quando sono venuta in Italia e la mia famiglia si è stabilita a Genova ho imparato l’italiano dimenticando l’inglese, perché non si parlava in famiglia. Passivamente sentivo il calabrese e il genovese. Poi dai 10 ai 15 anni sono andata a vivere in Calabria, dove a scuola mi prendevano in giro perché non parlavo il dialetto ma l’italiano e per giunta con l’inflessione genovese, quindi in quei cinque anni ho imparato abbastanza bene anche il calabrese. Dopodiché ci siamo ritrasferiti in California e parlavo l’inglese imparato a scuola in Italia- siamo nel 1971-, tipo finto accento di Oxford. Oltrepassati i 12 anni di età la bocca assume la sua conformazione definitiva ed è quindi difficile parlare senza accento, a meno che non si abbiano grandi doti di orecchio e di imitazione, fatto che mi condannato a parlare l’inglese con accento italiano/calabrese, e più tardi, al mio ritorno più recente in Italia, l’italiano con accento calabro/californiano. I primi tempi a Imola, gli autoctoni mi prendevano in giro facendomi il verso di Stanlio e Ollio, accusandomi di inventare termini come “pugnace” che evidentemente non facevano parte del loro forbito lessico.

Il mio essere ‘bilingue’ mi porta a percepire il mondo forse in maniera diversa, meno focalizzata sugli aspetti formali della lingua quanto su quelli semantici legati ai bisogni della comunicazione concreta. Finora la condizione del bilingue è stata vista come svantaggio, una specie di carenza rispetto alla padronanza della lingua dei madrelingua monolingui, ma in questi ultimi anni la condizione di bilinguismo viene rivalutata anche grazie agli studi neuro-cognitivi. Quindi i figli di immigrati in Italia oggi, diciamo dal Marocco o dalla Nigeria, hanno un’esperienza molto simile alla mia e spero che invece di essere mortificati per questa loro “eccedenza” di lingue si troverà il modo per valorizzarla.

 

  1. Cosa significa per lei la poesia?

Questa è una domanda complessa, anche perché ha significato diverse cose in diversi momenti della mia vita. Al momento direi che la poesia fa parte del linguaggio e dei sistemi di comunicazione umana. Si basa su certe irregolarità del linguaggio e certe capacità del linguaggio di trasmettere esperienze umane tramite immagini e metafore. Rispetto all’uso consueto, normale della lingua la poesia sfrutta degli “incidenti”, degli slittamenti di suono e di senso capaci di farci riflettere sulla lingua in sé, spostare l’ascoltatore o il lettore dall’accettazione del modo ‘logico’ di percepire il mondo a cui si è arrivati anche tramite l’assuefazione della lingua a uno insolito che apre verso altre possibilità di stare al mondo. La poesia va a concatenarsi con certi aspetti ‘irrazionali “del sogno, del fantasticare, del mondo dell’immaginazione e delle creazioni artistiche in generale per scuotere l’essere umano dalla meccanicità della vita. Partecipa a quei fenomeni di ‘straniamento’ di cui parlavano Sklovskij  e i formalisti russi e penso faccia parte di diverse correnti di esperienza umana che ci possono indurre a immaginare modi diversi di stare al mondo. In un momento come questo, sono forme urgenti di resistenza e di proposta. Personalmente sono un po’ avversa a certe esagerazioni che vedono la poesia come forma rivoluzionaria in sé, credo che racchiuda un potenziale e che bisogna trovare i modi per scatenarlo.

 

 8. Quanto hanno influito le origini calabresi nell’attività che svolge?

Ah, una domanda provocatoria da parte di voi solari siciliani, acerrimi nemici dei calabresi;-))) Ci tengo a sottolineare le mie radici calabresi perché penso che abbiano contribuito a rendermi una ‘outsider’ , cioè in tutti gli spostamenti che hanno caratterizzato la mia vita non ho cercato di mimetizzarmi assumendo l’accento più prestigioso dei vari luoghi nei quali vivevo (forse anche perché non ho orecchio). Quel carattere , stereotipicamente rappresentato come ombroso e diffidente, non mi ha protetto dalle varie legnate che mi sono state inferte nella vita, ma mi ha forse messo in salvo rispetto ad illusioni e ingiustificate solarità. Le mie origini calabresi sono anche legate al mondo dell’agricoltura e della migrazione, ai racconti che sentivo da bambina della seconda guerra mondiale, delle deprivazioni, di certi aspetti comunitari e solidali del mondo contadino, del doversi muovere in mondi che non si conoscono cercando di interpretarli in un certo modo credo che mi abbiano preparato per le esperienza di vita che mi sono trovata a percorrere. Altri membri della mia famiglia, a differenza di me, sono solari, si sono ‘americanizzati’ ma mi accorgo con l’età che questo loro ottimismo finisce per creare loro maggiore dolore quando le aspettative vengono tradite. Quindi forse, tutto sommato, la mia calabresità mi è tornata utile.

 

9. L’attività di traduttrice le permette di vivere in bilico tra due o più culture. Cosa significa per lei essere “Multicultural”?

Forse ho dato degli elementi per rispondere a questa domanda nelle mie risposte precedenti. Se devo fare una sintesi veloce direi che vivere tra mondi mi ha portato a un certo distacco dal nazionalismo, dall’attaccamento morboso a un territorio pur avendo molti luoghi del cuore dispersi tra Italia e Stati Uniti, Messico e Marocco, mi ha portato all’auspicio dell’annullamento dei confini. Per molti anni ho cercato di fare da ponte tra culture ma la mia esperienza è stata di risultare un po’ una outsider a entrambe. Credo che gli autoctoni da ambo i lati avessero bisogno di un altro tipo di persona, con caratteristiche più accattivanti e solari, più integrabili, forse meno critiche della mie (e qui ritorna l’ombrosità calabrese).

Attualmente mi sento più in versione trickster, una specie di figura mercuriale tra due mondi, che passa messaggi da uno all’altro, qualche volta combinando guai, ma nell’insieme promuovendo lo spirito critico. Quindi, forse multicultural per me significa avere pezzetti di molte culture, in continua trasformazione, e avere anche un senso di relatività, cosa che voi in Sicilia, con Pirandello come esponente letterario e teatrale di punta, dovreste certamente apprezzare.

 

10. Quali suggerimenti ci può dare per proseguire con il nostro progetto?

Non avendo seguito molto da vicino i diversi passi che avete intrapreso nel progetto mi viene un po’ difficile consigliarvi. Quello che potrebbe essere interessante potrebbe essere integrare nel progetto esperienze dirette con ragazzi della vostra età che sono figli di immigrati o sono minori non accompagnati arrivati di recente. Nella mia esperienza con il lavoro in ambito scolastico qui al nord succede che dopo le scuole medie molti dei ragazzi figli di immigrati vadano a frequentare gli istituti professionali e vi è uno scarso indirizzo verso i licei. Quindi dopo una frequentazione quotidiana fino alla terza media succede che si crei un po’ di separazione. Potrebbe essere utile che molte delle domande che avete indirizzato a me le indirizzaste a loro. Si potrebbe scoprire come vivono loro tra due mondi, come la migrazione attuale sia abbastanza diversa grazie alla tecnologia che consente un rapporto continuativo con il paese d’origine, etc. Dovreste in un certo modo calarvi nei panni di un Erasmo da Rotterdam del 21esimo secolo, carpire gli aspetti più cosmopoliti del suo lavoro tenendo presente anche quello che abbiamo imparato dagli studi post-coloniali che hanno messo in discussione l’eurocentrismo. Per questa vostra collocazione storica e strategica in Sicilia, una sorta di crogiolo delle culture, potreste essere tra i primi a elaborare delle metodiche e dei progetti innovativi rispetto alla migrazione, al rapporto con le persone che migrano adesso, quelle che sono migrate in passato e sono ritornate, gli ‘autoctoni’ che prenderanno tra qualche anno la strada della migrazione (non è infatti un fenomeno che riguarda “gli altri”, cioè siamo stati e siamo migranti anche noi -considerato il tasso di emigrazione di giovani dall’Italia). Grazie di questa opportunità di lavorare con voi, spero che avremo modo di continuare a collaborare. Sarei curiosa di sapere le vostre reazioni alle mie risposte e continuare in qualche modo il dialogo. Se posso esservi utile in qualsiasi modo non esitate a contattarmi.

 

Un abbraccio a Patti, un altro luogo del cuore

 

 

Pina Piccolo

 

Ecco il sito del Liceo Vittorio Emanuele III di patti con le informazioni relative  al Progetto Erasmus  http://www.liceopatti.it/

 

 

 

 

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