Shailja Patel – Mangiatrice di morte / Eater of Death (from Shailja Patel’s blog)

Traduzione di Pina Piccolo dall’originale inglese nel blog di Shailja Patel  http://www.shailja.com/work/eaterofdeath.html

 

Mangiatrice di morte

 

Questa poesia si basa sul resoconto pubblicato dall’organizzazione di donne afgane RAWA che racconta di una donna afghana il cui marito e i sette figli furono uccisi a tavola, mentre facevano colazione, durante un’incursione aerea statunitense sopra Kabul nel 2001.

 

Uno

Arrivarono mentre facevamo colazione, ricordo il sapore

del naan acquistato sul mercato nero.

Gli occhi di Zainab e Shahnaz come gorghi

mentre li cospargevo

di acqua preziosa.

I miei figli mangiavano piano

piano,

assaporando ogni briciola.

Ricordo l’amarezza

in gola.

 

Prima che avessimo finito

il cielo si lacerò vomitando

morte, tutto

ci cadde attorno, tutto

bruciava, i bambini urlavano, le pareti squarciate

una voce come di sciacallo ululava

Kamal Gohar Shahnaz

Sadiyah Zainab Zarafsan.

 

Senza mai fermarsi dopo

che tutti gli altri rumori

furono cessati

Kamal Gohar Shahnaz Sadiyah Zainab Zarafsan

mi spaccava la testa, l’avrei battuta quella voce

costringendola al silenzio.

Alzai le mani

per turarmi le orecchie, le mie dita

sprofondarono nel pozzo di un foro

sul mio volto, l’ululato

proveniva dalla mia gola.

 

II

Tre giorni dopo,

nel rifugio,

da cui esalava il fetore

di rifiuti umani, di terrore,

l’inedia e la nausea

che combattevano

nelle mie viscere

come mujaheddin.

Aziza, la mia vicina,

pezzetti di macerie

avviluppati tra i capelli,

mi mostrò un pacchetto. Giallo

come le bombe. Con una

bandiera americana.

Disse:

Dicono che sia cibo.

 

Le lacrime le scavavano solchi

nella sporcizia sulla faccia,

la bocca convulsa, la testa sobbalzante

l’unica mano che le restava tremante, saliva e parole

le saltavano dalle labbra:

Cibo colorato come

le bombe. Per i bambini

da raccogliere dai campi minati

con le mani

che gli restano

ancora.

 

E finalmente

capii

la barbarie

di un popolo

capace di gongolare

sulle morti provocate,

capace di prendersi gli arti,

gli occhi, la lucidità

delle proprie vittime,

prima di giustiziarli. Mi misi a urlare

verso il soffitto del rifugio buio come una bara:
Ma in America

non ne hanno di madri

non ne hanno di figli?

 

III

Il nono giorno

dopo la morte di Aziza

con le mani che

agguantavano ancora il pacchetto

che aveva rifiutato di aprire,

glielo forzai dalle dita

lacerate, senza vita e

 

ne mangiai il cibo.

 

Il sangue e le ossa e il grasso

dei miei figli,

in un pacchetto giallo,

con una bandiera americana.

Mangiai i nomi

che avevo accarezzato nella pancia

mentre maturavano dentro di me,

uno ad uno. I nomi

che facevano arrabbiare

loro padre, che disperato

diceva:

 

Ma che futuro possono avere

in questo paese che è carne

per i lupi?

 

E io gli rispondevo:

 

Ciascuno di essi

è un miracolo della vita.  Non sta a me

tarpargli le ali.

 

Kamal – la perfezione, come illividisci

e raschi la mia lingua piena di ascessi.

Gohar – diamante, pietra preziosa,

spaccameli pure i miei denti penzolanti.

Shahnaz – pricipessa, cuore rosso gelatinoso

di questa mostruosa pasta americana,

ti imbratto sulla bocca.

Sadiyah – la benedetta, affonda nel mio stomaco,

pietra del mio ventre, mi riapproprio di te.

Zainab – nipote del Profeta, la pace

sia con lui, e tu, zucchero

mia saliva, profetizza

che ne sarà di coloro che si cibano di morte.

Zarafshan –

Zar-af-shan, la più piccola, ti ho dato il nome

di un fiume potente. Adesso

sai

di fango rancido

di pesce avvelenato,

la più piccolo

adesso sai
di vetro scheggiato.

IV

I loro nomi non saranno ricordati

non sono americani.

I musei le loro reliquie non le ospiteranno, non sono

americani. I figli di nessun’altra madre

saranno macellati

in loro memoria, non sono

americani.

 

Ed io?

Ho mangiato

dalle viscere dell’inferno,

masticato e inghiottito

i frammenti dei miei figli

E adesso

vedete?

Non sono più umana.

 

Adesso che tutte le nazioni

ci chiudono i confini in faccia,

adesso che ci sparano contro

quando imploriamo asilo,

farò marciare l’America

lungo i miei tendini, elettrificherò

l’America attraverso i miei nervi.

Chiuderò i confini

del mio corpo al dolore,

sigillerò gli occhi, la bocca, la pancia

per non far entrare una qualsiasi fame

che non sia la mia.

 

Mi ribattezzo

America. Nessun amore

nessun altro dolore nel mondo all’infuori dal mio.

E li terrò al sicuro

nelle incrinature di miei denti

in fondo al bacino

nella mia carne escoriata

sotto le palpebre.

 

Kamal

Gohar

Shahnaz

Sadiyah

Zainab

Zarafshan

 

Immagine di copertina ripresa da questo articolo https://apjjf.org/-Taylor-Owen/3380/article.html 

 

 

 

 

 

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